Le indagini della Squadra Mobile di Milano hanno evidenziato un cospicuo flusso di denaro che serviva per mantenere latitanti ma che veniva anche investito in nuove attività imprenditoriali all’interno dell’economia lombarda 
(MeridianaNotizie) Roma, 24 settembre 2013 – Beni mobili e immobili per un valore di oltre 700 milioni sono stati confiscati dalla Direzione investigativa antimafia all’imprenditore di Castelvetrano Giuseppe Grigoli, 64 anni, indicato dagli inquirenti come uomo di fiducia e prestanome del boss latitante Matteo Messina Denaro, ritenuto nuovo capo di Cosa Nostra. Le indagini della Squadra Mobile di Milano hanno evidenziato un cospicuo flusso di denaro che serviva per mantenere latitanti ma che veniva anche investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente, quindi, l’economia lombarda. Le indagini della Polizia di Stato hanno individuato una complessa rete di società cooperative attive nella logistica e nei servizi che mediante false fatturazioni e sfruttamento della manodopera hanno realizzato profitti in nero dal 2007, un fiume di denaro che sarebbe servito a gestire la latitanza di esponenti di Cosa Nostra e di operare nuovi investimenti imprenditoriali in Lombardia. Decine di perquisizioni sono state eseguite nel Milanese (a Peschiera Borromeo, Bresso, Corsico, San Donato Milanese, Brugherio, Trezzano sul Naviglio), in provincia di Varese, a Monza, a Lodi e a Cremona. Le accuse ipotizzate vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso e l’estorsione, alle false fatturazioni, il favoreggiamento e l’impiego di manodopera clandestina. I provvedimenti di custodia cautelare sono stati emessi dal gip del Tribunale di Milano, Stefano Donadeo, su richiesta del sostituto procuratore della Dda Marcello Tatangelo.
In Lombardia siamo di fronte a una “mafia imprenditoriale”, che cerca di fare affari, e non solo illeciti. L’osservazione è contenuta in un passo del dispositivo della Dda di Milano, che coordina l’operazione contro la criminalità organizzata che ha portato a otto arresti tra i quali la figlia e il genero di Vittorio Mangano. “L’associazione contestata corrisponde alla mafia imprenditoriale – dicono i magistrati della Dda nel dispositivo che ha portato all’emissione dei provvedimenti di custodia cautelare- cioè a un’associazione che si avvale della forza dalla storia e dalla fama della realtà criminale a cui appartiene … non per realizzare in via esclusiva evidenti azioni illegali bensì per entrare nel tessuto economico della zona d’appartenenza e trarne un beneficio economico”. Oltre alle otto misure emesse dal gip di Milano Stefania Donadeo e alle perquisizioni, sono stati individuati beni e conti correnti ora al vaglio della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano. Vittorio Mangano, al vertice del mandamento di Pagliarelli, è deceduto agli arresti domiciliari nel luglio del 2000. Entra come un ciclone nelle cronache giudiziarie quando si scopre che l’esponente di Cosa Nostra lavora come ‘stalliere’ (in realtà è un amministratore) nella villa di Arcore (Milano), assunto da Silvio Berlusconi cui l’ha presentato Marcello Dell’Utri. Cinzia Mangano, sua figlia, e il genero, Enrico Di Grusa, secondo le risultanze della Dda avrebbero “raccolto la sua eredità criminale” aiutati da Giuseppe Porto, uomo di fiducia a Milano.
Vittorio Mangano era già stato tre volte in carcere, nel ’67 era stato diffidato come ”persona pericolosa”, poi era finito sotto inchiesta per reati che vanno dalla ricettazione alla tentata estorsione e nel ’72 era stato fermato in auto con un mafioso trafficante di droga. A Marcello Dell’Utri, secondo le risultanze processuali, l’aveva raccomandato Gaetano Cina’, imparentato per tramite della moglie con due boss allora seduti nella ‘cupola’ di Cosa nostra, Bontade e Teresi. La Digos di Milano scrive in un rapporto del 1984 che Mangano restò ad Arcore due anni, durante i quali fu arrestato altre due volte per scontare condanne per truffa, possesso di un coltello e ricettazione. L’allora imprenditore e futuro presidente del consiglio, lasciava affidata a lui la sicurezza della villa e dei suoi figli piccoli, che Mangano accompagnava personalmente a scuola. Mangano lasciò Arcore nel 1976, ma continuò a gravitare su Milano, dove curava un traffico di droga per conto della mafia per il quale verrà arrestato nel 1980 e condannato. Tra il 1999 ed il 2000 avrà ben quattro condanne dai giudici di Palermo: una all’ergastolo per duplice omicidio, altre due per mafia ed estorsione ed ancora una per traffico di droga.
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