Ottantacinque corpi stanno distesi nella periferia di Agrigento, al cimitero di Piano Gatta senza che sia stata compiuta una cerimonia e senza che abbiano il nome scritto
(MeridianaNotizie) Roma, 17 ottobre 2013 – Era iniziata in tragedia ed è finita con la più totale, gelida indifferenza. Non c’è neppure una lapide per le vittime del naufragio a Lampedusa del 3 ottobre. Sono state seppellite come fossero oggetti, e non persone che hanno messo in gioco il loro presente per garantirsi il futuro. Ottantacinque corpi stanno distesi nella periferia di Agrigento, al cimitero di Piano Gatta. Solo quello li distingue dalle bestie: li hanno almeno distesi e non ammassati tra loro. Avevano addirittura promesso i funerali di Stato. E invece nulla. Ne una cerimonia, ne fiori, ne preghiere, ne incenso, nessun rappresentante del Governo.
Cinque cappelle ospitano circa quindici corpi ciascuna. Solo il sindaco e il vicario dell’Arcidiocesi di Agrigento hanno avuto la delicatezza di venire a trovare le salme. Hanno portato cinque corone di fiori, ma ci sono soltanto quelle per 85 tombe. Le cappelle in cemento riservate agli immigrati sono in fila, una dietro l’altra. Dentro ognuna di esse ci sono le vittime numerate. Dietro a ogni numero una bara. Ogni cappella ha otto corpi sottoterra e otto ai lati. Il responsabile del cimitero, Salvatore D’Anna, ha ancora negli occhi le immagini dei sei camion che domenica scorsa hanno trasportato le bare. «Adesso non dobbiamo dimenticare» dice sconsolato. «Da Roma non ci è arrivata nessuna notizia in merito ai funerali, ma dobbiamo fare qualcosa». Incredulo anche il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini: «Se avessimo saputo che non si sarebbero mai celebrati gli annunciati funerali di Stato per le vittime del naufragio di Lampedusa, prima di fare partire le salme dall’isola avremmo celebrato noi un funerale. Una cerimonia funebre per dare l’ultimo saluto alle povere vittime. Un funerale di paese, come quelli che facciamo a Lampedusa. E’ ingiusto seppellire i profughi senza un funerale…»
Forse ognuno di noi dovrebbe pensare a come ricordare questi morti innocenti, che rappresentano il grado più alto di innocenza forse; quella di chi si immola per la sopravvivenza o per quella dei propri figli che magari sono ancora in pancia, come è accaduto alla giovane donna trovata attaccata alla sua creatura dal cordone ombelicale. Il modo migliore per ricordare e rispettare questi morti, perché di questo realmente si ha bisogno, è conoscerli. Conoscere le loro storie e specialmente i paesi da cui provengono. E’ necessario comprendere perché sono fuggiti verso un destino a due facce nette: la sopravvivenza in Europa o la morte in mare. Cosa li ha spinti a lasciare le strade e gli odori a cui tanto erano abituati e affidarsi a un viaggio verso lingue, visi, suoni nuovi? La disperazione, la mancanza di speranza: è questo che li ha allontanati dall’Eritrea, dall’Etiopia e dalla Siria. In quel cimitero, nella nostra isola più grande, nel cimitero di Lampedusa c’è un grosso pezzo di quei paesi e delle loro guerre. Cercare di conoscere le vicende di quei luoghi significa dare un senso a questo strazio, e rendere quei cadaveri dei veri e propri messaggeri.
Intanto proseguono gli sbarchi nelle coste siciliane: 92 profughi, sono giunti ieri sera a Siracusa soccorsi da una petroliera a largo delle coste libiche, non lontano dall’isola di Lampedusa. A bordo erano presenti solo uomini e una donna, tutti provenienti dai paesi sub sahariani. I migranti sono stati tratti in salvo dal mercantile Aegean Pride nel Canale di Sicilia. Soltanto in serata è stato possibile trasbordare gli immigrati sulle motovedette e trasferite al porto grande di Siracusa dove ad attenderli c’era un pullman che li ha condotti presso la sala Randone, allestita per l’occasione per ospitare i profughi in attesa di identificazione e di successiva destinazione.
di Luisa Deiola
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