«Dove dovrebbe essere seppellito mio padre? Per me anche in Israele, così sono contenti…». La provocazione arriva da Jorge, il figlio di Erich Priebke residente a Bariloche, il quale definisce «un’ingiustizia» la vicenda dell’ex ufficiale SS
(MeridianaNotizie) Roma, 14 ottobre 2013 – Non c’è fine alle provocazioni, non c’è pace per chi ha subito i crimini nazisti. A mettere sale su ferite riaperte in seguito alla morte del gerarca nazista Erich Priebke, responsabile dell’eccidio delle fosse Ardeatine, ci si mette pure il figlio. Che addirittura lancia un’invettiva morale e da consigli su come risolvere i conflitti mondiali e soprattutto su dove seppellire suo padre. «Dove dovrebbe essere seppellito mio padre? Per me anche in Israele, così sono contenti...». La provocazione arriva da Jorge, il figlio di Erich Priebke residente a Bariloche, il quale definisce «un’ingiustizia» la vicenda dell’ex ufficiale SS.
«Basta “rotture”, quasi tutto è un’ingiustizia. Perché quella gente non guarda quanto succede in Medio Oriente, Siria, Iran oppure quei poveracci a Lampedusa che muoiono nel Mediterraneo? Perché continuano invece a prendersela con uno dei tempi della guerra finita più di 60 anni fa? Che la smettano di ‘joder’ (rompere, ndr), sono dei risentiti, quelli rompono nel mondo fin da prima di Cristo», ha aggiunto Jorge Priebke. Alla domanda su chi siano ‘quellì, Jorge Priekbe risponde: «Gli stessi di cui stiamo parlando. Ma ora basta – conclude – mi sono arrabbiato troppo. Meglio non parlare più». Il figlio è una persona molto sensibile. «Mio padre era una vittima. Il processo contro mio padre è stata una falsificazione fatta dagli ebrei. L’ho visto quando sono stato a Roma. C’era molto rancore. Credo che quanto sia successo a mio padre sia dovuto al fatto che era l’unico ancora vivo tra quelli delle Fosse Ardeatine, l’unico che aveva raggiunto i cento anni», afferma Jorge e precisa – «ormai non ci sono più neanche i suoi vecchi amici». Alle Ardeatine «non ebbe una responsabilità diretta. Agì – prosegue – per obbedienza dovuta nei confronti dei superiori. Può essere che abbia sparato due volte». Nel sottolineare di «aver sempre saputo poco della guerra», e di essersi «aggiornato solo di recente», Jorge afferma che neanche il padre «parlava più di quei tempi». «Su mio padre tante falsità». Alle Ardeatine «il capo era Kappler, poi c’erano Wolff, Hass e gli altri. Lui era nel gruppo, non so in quale ruolo. Non era certo il ‘numero tre’, forse il ‘numero dieci’ o giù di lì. Molti dicono che era il capo del carcere di Roma: neanche questo è vero, e non lo è neppure la storia che lui teneva in mano la lista» con i nomi dei prigionieri prima che entrassero nelle grotte. «In questi giorni – precisa – su internet stanno uscendo delle cose tremende, quasi mio padre fosse colpevole di tutto. Sul web scrivono tanti giovani, che non sanno niente sulla guerra, gli ebrei o il nazismo». «Quello che leggo è falso. Non è per esempio vero che abbiamo vissuto nascosti con un altro nome. Qui a Bariloche mio padre ha avuto incarichi pubblici», aggiunge, precisando che nel 1994, prima di essere ‘scoperto’ da una rete tv americana, Priebke aveva fatto «diversi viaggi, in Italia, Germania, Francia, Inghilterra e gli Stati Uniti». «Mio fratello Ingo vive d’altra parte a New York, anche se va spesso in Germania. Ma noi – conclude – non ci vediamo da anni».
«L’ultima volta che ho sentito mio padre è stato una quindicina di giorni fa. Non era malato, stava bene», continua Jorge Priebke. «Siamo molto tristi, anche se ora sto un po’ meglio. A chiamare eravamo sempre noi, lui non poteva fare telefonate internazionali. L’ultima volta che l’ho sentito abbiamo parlato un minuto, non di più, come facevamo sempre. Mi raccontava poco, che aveva qualche visita, che stava bene… Mi aveva detto ‘alla prossima’. Poi non ha più risposto, né ha voluto sapere niente di nessuno. Credo si sia lasciato andare», racconta Jorge. Alla domanda se intenda partecipare ai funerali del padre, Jorge Priebke afferma: «A parte il fatto che ho dei problemi fisici, non abbiamo i soldi per il biglietto. In Argentina – precisa – prendo la pensione minima e ho una macchina vecchia di 35 anni». «Quando c’è stata l’estradizione in Italia di mio padre, qui tutti si sono lavati le mani, come Ponzio Pilato», afferma ancora, riferendosi alla reazione della comunità tedesca locale e della Germania nei confronti dei familiari di Priebke a Bariloche. Chissà che si riprenderà dallo shock per la morte del padre, e speriamo che stia un po’ zitto per permettere al buon gusto di riprendersi.
Luisa Deiola
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