(MeridianaNotizie) Roma, 8 giugno 2017 – Si scava nel passato del terrorista italo-marocchino Youssef Zaghba. Ripartendo da uno dei suoi ultimi domicili londinesi conosciuti: un’abitazione giallo sporco, con il piazzale sterrato, la porta sfondata e un cartello di un gommista appoggiato alla finestra. “Ci abitavano in sei là dentro”, racconta un meccanico. “Oltre all’italiano, due pachistani e un indiano… “. Una casa polverosa, che affoga tra officine e magazzini di pneumatici lungo la rumorosa Ripple Road, a Barking. Lo stesso quartiere del britannico di origini pachistane Khouram Butt e del marocchino Rachid Redouane. A Ripple Road sono stati trovati materiali che Scotland Yard definisce “di interesse investigativo “. E che, ancora una volta, porterebbero in Italia. La nostra Antiterrorismo è in attesa di capire cosa hanno scoperto a Londra. L’indagine per terrorismo internazionale aperta dalla procura di Bologna nel maggio di un anno fa, quando il 22enne fu bloccato all’aeroporto Marconi prima di imbarcarsi su un volo di sola andata per Istanbul, ha ripreso ovviamente vigore. Gli agenti della Digos stanno ricontrollando tutti i contatti italiani che Youssef si era creato fino al gennaio 2017 nei circa 60 giorni che, complessivamente, ha trascorso nel nostro Paese dopo aver lasciato il Marocco. Si tratta di una ventina di persone, italiani e stranieri, in gran parte residenti nel bolognese. Di queste, dieci vengono definite “contatti stretti”. Nulla al momento che faccia pensare a una rete di estremisti o radicalizzati. Erano già stati vagliati nei giorni dopo l’episodio dell’aeroporto. L’indagine bolognese, però, non può che ripartire da una base “monca”: al tempo del sequestro dei due telefonini, delle 7 sim card e di un tablet in uso a Zaghba (trovato in casa della madre), la Polizia postale non riuscì a completare la copia forense di tutto il contenuto dei dispositivi. Arrivò prima il Tribunale del Riesame, che li riconsegnò al ragazzo perché l’atto del magistrato fu ritenuto “omissivo” nella parte della motivazione. Il procuratore aggiunto Valter Giovannini ordinò la copia degli strumenti informatici, prima di assegnare il fascicolo alla pm Antonella Scandellari, ma quel vizio di forma, al netto della buona fede e della regolarità della procedura, ne ha reso impossibile la copia completa (mancano – come riferiscono fonti di polizia – alcune parti criptate delle memorie dell’iPad e dei cellulari) e processualmente complicata l’utilizzazione dei dati. Si continua a scavare, comunque. Soprattutto per capire quando, dove e perché la vita da emigrante a Londra di Zaghba abbia imboccato la strada della radicalizzazione e del martirio. Fino a gennaio, al tempo dell’ultimo passaggio in Italia, diceva alla madre Valeria Collina di stare bene. Di aver rimediato uno stage come tecnico del suono a Eman Channel, un’emittente britannica interamente dedicata all’Islam. Di aver frequentato le lezioni di inglese e di educazione civica al London Pioneer College di Barking. L’apparenza della normalità. La stessa che ostentavano i due complici della mattanza, andando a nuotare ogni domenica alla piscina di East Ham con altri tre musulmani. Alla pila di segnalazioni di allarme consegnate all’Mi5 inglese, tra cui quella su Zaghba delle autorità italiane (“Abbiamo le carte e la coscienza a posto”, ha detto il capo della Polizia Franco Gabrielli), se ne aggiungerebbe: secondo il New York Times, un ex membro di Al Qaeda informò nel 2015 l’Fbi della pericolosità di Kourham Butt, notando la sua partecipazione sempre più agitata alle chatroom di al-Muhajiroun, il gruppo dell’imam predicatore d’odio Anjem Choudary. L’informatore, però, non ha saputo dire se tale informazione sia stata veicolata all’intelligence inglese. L’indagine di Scotland Yard va avanti tra le polemiche. Ieri è stato arrestato un presunto “quarto uomo”: un trentenne, di cui non si conosce il nome, prelevato dalla sua abitazione di Barking e accusato di “commissione, preparazione o istigazioni di atti terroristici”. Non è chiaro il suo legame col commando, è però il primo di cui la polizia inglese divulga il pesante capo d’accusa. Per gli altri 12 arrestati (tutti rilasciati) non era stato fatto.
(a cura di Cecilia Guglielmetti)