Il presidente del Consiglio dei Ministri fa il punto sulle attività del governo dopo meno di due anni dal suo insediamento
- articolo di Massimo Catalucci
“Andiamo avanti spediti con le riforme per il bene del Paese “– apre così, Giorgia Meloni, il suo intervento pubblico in una registrazione video, dove, argomento per argomento, smonta ogni tentativo di attacco dell’opposizione alle attività adottate dal suo governo.
Le riforme attendono da decenni, alcune da oltre 70 anni, di essere discusse con senso critico e costruttivo da un Governo responsabile e soprattutto eletto dai cittadini, ed hanno il fine di ammodernare l’impianto costituzionale del nostro Stato per rendere la Nazione in giusto equilibrio nei vari ambiti: economico, sociale, sanitario, lavorativo, educativo/scolastico, ecc..
“Abbiamo preso un impegno con gli italiani – dichiara Meloni – e intendiamo rispettare tale impegno“.
La riforma del fisco, della giustizia, quella degli appalti e quella del premierato, sono punti fermi dell’agenda di questo Governo che intende con queste iniziative far cambiare rotta all’Italia, rendendola più forte per il bene di suoi cittadini ma anche più rispettata in Europa e al di fuori dei confini europei.
La scelta del premier da parte del popolo, laddove si dovesse concretizzare la riforma in tal senso, metterebbe fine ai giochi di palazzo che hanno visto dal dopoguerra ad oggi governi ballerini, instabili che hanno contribuito a far crollare il grande patrimonio nazionale che questo Paese detiene, sotto ogni profilo.
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” – recita così l’art. 1 della nostra Costituzione – e con queste nuove riforme, il Governo Meloni intende riconoscere dignità e identità al Popolo che detiene la sovranità, per cui è giusto che decida lui stesso da chi vuole essere Governato.
Quando una riforma, come ad esempio quella della giustizia, non permette più al parlamento di eleggere i membri del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) è una manovra di un Governo responsabile e coerente che va a vantaggio della collettività e soprattutto della democrazia, ma evidentemente, l’opposizione che a parole si proclama democratica nelle sue svariate sfumature di colore, mentre continua ad accusare il Governo di pratiche fasciste, dimostra nella sua totale schizofrenia, di non avere chiari argomenti su cui dibattere per cui dimentica anche presto, che alcune delle riforme oggi portate in parlamento dal centrodestra, hanno radici nel passato.
Infatti, andando a ritroso nel tempo, ci accorgiamo che da quel pulpito da cui arrivano oggi le accuse all’attuale Governo di una deriva autoritaria, all’epoca del PDS, circa trent’anni fa, Occhetto da sinistra propose la riforma del premierato così come nel 2001, sotto il governo Amato, con una maggioranza di sinistra, passò in parlamento la riforma costituzionale al Titolo V, in ragione appunto dell’autonomia differenziata delle regioni, approvata poi, con il referendum dagli Italiani.
Appare, quindi, alquanto singolare voler attribuire al Governo Meloni il principio di dare maggiore autonomia alle regioni, con l’idea che il centrodestra in questo modo intenda spaccare l’Italia, creando regioni di serie “A” e regioni di serie “B”, ma piuttosto, ci si dovrebbe interrogare sul perché ad oggi, quanto è stato riformato in tal senso dai governi di sinistra, non abbia avuto seguito, visto che si è iniziato a parlare di autonomia differenziata dal 1997, quando all’epoca guidava il Governo Prodi?
Forse, quello che emerge, ancora una volta, è la capacità della sinistra di creare a parole progettualità che poi, nella concretezza della realtà quotidiana, ovvero, nel momento in cui devono diventare sostanza, non trovano riscontro per una evidente incapacità di renderle esecutive.
Capacità che il Governo Meloni invece sta dimostrando di avere e in ragione dell’autonomia differenziata, si è concentrato sulla stesura di regole che rendano possibile l’attuazione della suddetta riforma per le regioni.
Ed ecco che le accuse della sinistra nei confronti del Governo Meloni, additato come come autoritario, diciamo fascista, per usare un termine caro all’opposizione, cadono sotto le loro stesse menzogne, come dei castelli di carta.
La prima regola da attuare alle regioni che intendono aderire all’autonomia differenziata, sarà quella del merito. Ognuna di queste regioni dovrà dimostrare di meritarsi tale condizione autonoma, garantendo i livelli essenziali delle prestazioni. Nello specifico, la prerogativa di autonomia di una regione, passa attraverso la capacità dello stesso ente locale, di garantire livelli quantitativi e qualitativi minimi ai cittadini, riguardo i servizi che verranno loro erogati.
Quindi, secondo il disegno preparato dal Governo Meloni, non ci saranno differenze tra regioni più ricche di rispetto a quelle meno ricche, ma il Governo sarà pronto a sostenere quelle realtà locali che dovessero attuare le regole dettate ma che, oggettivamente, hanno bisogno di un sostegno maggiore per il loro sviluppo, proprio per portare ad un livello di equilibrio nazionale paritario, i servizi resi ad un cittadino residente nel nord, così come a quello nel centro, nel sud e nelle isole.
Inoltre, le regole studiate per attuare il principio di autonomia delle regioni, basandosi sulla meritocrazia, imporranno alla dirigenza dell’ente locale, una maggiore attenzione nella gestione del bene pubblico ed è immaginabile che questa condizione, determinerà anche una maggiore attenzione da parte dell’elettore quando dovrà scegliere i propri governanti.
Che il Governo Meloni stia andando nella direzione giusta, non sono slogan di parte, ma lo dicono i sondaggi delle agenzie preposte a rilevare i dati su scala nazionale. L’Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno (SVIMEZ) ha certificato che nel 2023, il PIL del sud (1,3%) è aumentato oltre lo 0,4% rispetto a quello nazionale (0,9%); così come l’occupazione, che nel mezzogiorno ha avuto un rialzo in termini percentuali del 2,6%, rispetto a quello nazionale che, sempre su base annua, si è attestato all’1,8%.