(Adnkronos) – I mercati sembrano aver ben assorbito la notizia del bombardamento dei tre siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Ishafan da parte degli Stati Uniti. “Non c’è panico – dice all’Adnkronos Giorgio Broggi, Portfolio Manager di Moneyfarm -. Il prezzo del petrolio si attesta attorno agli 80 dollari al barile e non segnala paure di un’ulteriore grave escalation della situazione”. La domanda chiave resta come l’Iran reagirà a quanto avvenuto: “Ci si aspetta una reazione limitata e questa potrebbe essere in forma di ‘lievi’ bombardamenti alle basi militari americane nella zona, con il regime più impegnato a rinforzare la propria posizione internamente”. Si rafforza la posizione del dollaro nei confronti dell’euro, con l’indice della valuta statunitense sopra il livello di 99.000. A indebolirsi è stato lo yen, reazione che riflette le preoccupazioni degli investitori sul fatto che l’economia giapponese potrebbe essere colpita più duramente dall’aumento dei prezzi del petrolio, data la sua dipendenza dalle importazioni energetiche dalla regione, e il potenziale aumento dell’inflazione che potrebbe far salire i rendimenti più al di fuori del Giappone. La domanda di beni rifugio in risposta agli attacchi missilistici statunitensi contro l’Iran non è stata sufficiente a invertire la tendenza al ribasso dello yen. La domanda chiave è se una reazione mite da parte del regime “sia sufficiente per mantenere la già bassa popolarità che ha tra i cittadini o se non stia decidendo la necessità di un’azione più forte – sottolinea Broggi -, il che potrebbe implicare bombardamenti alle infrastrutture per il trasporto di petrolio e gas naturale nel Golfo”. La minaccia più grande riguarda la chiusura dello Stretto di Hormuz, dal quale passa circa un quinto della fornitura globale di petrolio, un gesto che “porterebbe il prezzo del petrolio ben oltre i 100 dollari al barile”. Secondo l’esperto “questo non è lo scenario base e credo che i mercati lo stiano apprezzando. In assenza di ritorsioni, l’amministrazione Trump ha inizialmente indicato che gli attacchi militari del fine settimana sono probabilmente un’azione isolata volta a danneggiare le capacità nucleari dell’Iran, piuttosto che l’inizio di un conflitto più ampio. Il vicepresidente JD Vance, sul proprio profilo X, ha dichiarato che l’interesse statunitense è “far sì che l’iran non abbia accesso ad armi nucleari”, sottolineando come l’eventualità di un allargamento del conflitto da parte del regime degli Ayatollah sarebbe “uno sbaglio catastrofico”. Vance ha poi ribadito come gli Usa “non siano in guerra con l’Iran”, ma “con il suo programma nucleare”. La situazione resta comunque altamente volatile: “Non resta che monitorare l’evoluzione della situazione e sperare che la diplomazia torni ad essere lo strumento per risolvere i conflitti” aggiunge poi Broggi. —[email protected] (Web Info)
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