(Attraverso il buco della serratura o da una porta socchiusa?)
La psicologia ha ormai definitivamente accertato che siamo tutti orgogliosi possessori di un bel paio di paraocchi, ovvero pregiudizi, fissati saldamente sulle nostre cornee come fossero lenti a contatto.
I tifosi ne sono del tutto inconsapevoli. Gli sportivi, invece, col tempo imparano a riconoscerli e, con gli occhi della mente, cercano di correggere la distorsione della realtà che ne deriva.
Uno studio comparato recente (condotto su queste due tipologie di “hominidi”, che rappresentano simbolicamente il diverso approccio umano alla realtà) tramite Risonanza Magnetica Funzionale ha dimostrato che entrambi vedono le stesse cose — si attivano infatti le stesse aree cerebrali — ma ciò che cambia è il racconto che si fanno: l’interpretazione dei fatti.
Anche di fronte a prove evidenti, il tifoso non cambia mai la propria interpretazione, a differenza dello sportivo. Questo fenomeno è noto fin dai tempi di Seneca: “Semper incipit vivere” — la percezione di un evento conta più dell’evento stesso.
Tale meccanismo conferma anche quanto diceva Jung:
“Non credere troppo a ciò che ti racconti.”
Il tifoso, infatti, tende a raccontarsi per tutta la vita, cadendo in una sorta di sortilegio, e ricorrendo a bugie sempre meno credibili pur di mantenere intatto il proprio punto di vista.
Nietzsche scriveva:
“La bugia più comune è quella con cui si mente a se stessi. Mentire agli altri è relativamente l’eccezione.”
E ancora:
“Questo non voler vedere quel che si vede, questo non voler vedere come si vede, è quasi la prima condizione per chiunque sia di parte. L’uomo di parte diventa necessariamente bugiardo.”
In fondo, la mentalità di gruppo è un istinto umano primordiale, che si è conservato intatto nel tempo, nel bene e nel male.
E come diceva Michelangelo:
“Meno idee si hanno, meno si è disposti a cambiarle.”
Sono le parole di Luigi Galieti, medico, già sindaco del Comune di Lanuvio.

