Nella suggestiva cornice dell’Area Archeologica delle Stimmate, luogo dove le rovine raccontano storie millenarie che richiamano la stratigrafia di una città, ha preso forma “Un’Orestea”, da Eschilo, ambizioso e affascinante progetto teatrale che ha intrecciato classicità, simbolismo e formazione attoriale. Il lavoro, affidato alla sapiente regia condivisa di Giacomo Zito e Luigi Pisani, si è rivelato un’esplorazione intensa e rispettosa del mito fondativo della tragedia occidentale. Due le repliche dello spettacolo – entrambe con il tutto esaurito – realizzato con il contributo economico del Comune di Velletri e in collaborazione con i Musei Civici di Velletri, diretti da Raffaella Silvestri, e la FondArC, andate in scena venerdì 21 e sabato 22 novembre alle ore 21 nello splendido complesso archeologico veliterno.
Gli spettatori, tra le vestigia di epoche sovrapposte che compongono uno scrigno di cultura e bellezza unico in tutto il Lazio come l’Area Archeologica delle Stimmate, hanno assistito a una vera e propria esperienza rituale. La tragedia familiare per eccellenza – quella che segna il passaggio dalla legge del sangue alla legge della polis – ha trovato straordinaria risonanza nelle stratificazioni archeologiche del luogo. In una location dove i tempi si fondono, l’Orestea ha vibrato come eco profonda dell’inconscio collettivo.
Gli allievi dell’Accademia Bernini (che meritano di essere citati uno per uno, in ordine alfabetico, per la loro bravura ineccepibile: Daniela Bellardinelli, Giorgio Belocchi, Gisella Bonsanti, Moira Buttu, Enrico Cametti, Giada Carbone, Alessio Cavallo, Gianmichele Cazzetta, Andrea Costantini, Stefania Evangelisti, Gabriele D’Anastasio, Andrea De Dominicis, Michela Delli Castelli, Leandro De Pasquale, Filippo Di Vita, Francesca Fattorini, Nadia Felci, Barbara Fiorentino, Alessandro Gemma, Lisa Manna, Simona Mercurio, Nicola Ottavi, Fosca Pallai, Mauro Piatti, Lara Sofo, Michela Zocchi) hanno – con generosità e rigore – affrontato un testo arduo, antico e vertiginoso, restituendolo con un’intensità scenica notevole. La loro presenza fisica ed emotiva tra le rovine ha reso viva la dicotomia tra destino e scelta, natura e civiltà. È in questa dialettica che la messinscena ha trovato il cuore pulsante, oscillando tra il sacro e il profano, come Eschilo insegna.
La recitazione, immersa nel silenzio eloquente e solenne dell’area archeologica e di un pubblico rapito, ha assunto così un valore amplificato. La scenografia naturale ha reso superfluo qualsiasi artificio valorizzando e potenziando il pathos espressivo di voci e corpi.
“Un’Orestea” ha rappresentato un esperimento culturale dove luogo e arte si sono fusi, lasciando un segno negli spettatori. La rappresentazione può divenire inoltre un volano per future e innovative strategie di promozione dei beni storico – architettonici, capaci di rivivere intorno alla cultura. Un grande successo di pubblico e critica per un’opera di valorizzazione degli spazi culturali all’insegna del teatro di qualità, per un’immersione totale di attori, attrici e pubblico che in pochi posti al mondo trova una dimensione tanto calzante e congeniale.
Rocco Della Corte




