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    Home » Ue, accordo a 26 sull’Ucraina. Resta nodo spesa difesa
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    Ue, accordo a 26 sull’Ucraina. Resta nodo spesa difesa

    Fabrizio GerollaBy Fabrizio Gerolla27 Giugno 2025Nessun commento1 Views
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    (Adnkronos) – Conclusioni a 26 sull'Ucraina, per l'opposizione dell'Ungheria di Viktor Orban, secondo il quale l'adesione di Kiev all'Ue "ci trascinerebbe in guerra". Sull'accordo di associazione Ue-Israele e la sua eventuale sospensione per la violazione dell'articolo 2, gli Stati membri restano divisi e continueranno a discutere: appuntamento rimandato al prossimo Consiglio Affari Esteri. Il nodo di come finanziare l'aumento delle spese per la difesa che si prospetta di qui al 2035 resta insoluto, mentre nei negoziati commerciali con gli Usa la trattativa potrebbe entrare finalmente nel vivo, con l'arrivo dell'attesa controproposta dagli Usa, che la Commissione "sta esaminando in questo momento", come ha detto Ursula von der Leyen.  I capi di Stato e di governo si sono ritrovati a Bruxelles per il Consiglio Europeo di giugno e hanno discusso anzitutto di difesa, che è stato il punto principale del summit, come ha confermato il premier portoghese Luis Montenegro. Il dibattito in materia di sicurezza e difesa ha fatto seguito al summit dell'Aja, dove sono state prese decisioni rilevanti, con l'impegno degli Stati membri a portare la spesa militare e per la sicurezza al 5% del Pil entro il 2035. Anche se l'obiettivo Nato, come ha spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, non è corredato da target intermedi, si tratta comunque di un livello di spesa molto alto, specie per quei Paesi che hanno scarsi margini di manovra nel bilancio e che, molto probabilmente, dovranno tagliare la spesa sociale per finanziare quella militare. Una scelta, questa, politicamente rischiosa ed elettoralmente penalizzante per qualsiasi governo.  Il nodo è come finanziare i continui aumenti di spesa per la difesa che i governi dovranno sostenere. Da dove arriveranno i soldi necessari al riarmo che l'Europa ora dovrà perseguire a tappe forzate, per recuperare il divario rispetto alle altre potenze accumulato dalla fine della Guerra Fredda? Il problema è che, ad oggi, gli strumenti a disposizione sono tutti nazionali, come nazionale è la competenza nella difesa. L'unico strumento Ue è Edip, che ha una dotazione minima, 1,5 mld di euro ad oggi. Per i nordici, in particolare Germania e Olanda, l'idea che si possa fare debito comune per la difesa resta tabù. Per Berlino e L'Aja non c'è alcuna possibilità che venga varato un programma di eurobond per la difesa: "Assolutamente no", rimarca una fonte diplomatica europea. Tuttavia, dal 2020 ad oggi le cose sono cambiate: come confermano più fonti, due Paesi ex Frugali come Finlandia e Danimarca hanno cambiato posizione su questo punto, perché iniziano a rendersi conto che le risorse pubbliche di cui dispongono sono limitate, troppo per far fronte alla necessità di riarmarsi davanti alla minaccia russa. La stessa premier danese Mette Fredriksen, già alfiere dei Frugali malgrado sia socialdemocratica, ora che gli Usa di Donald Trump hanno messo gli occhi sulla Groenlandia ha invitato a "spendere, spendere, spendere" nella difesa. E a lavori chiusi il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa ha evidenziato che i leader hanno chiesto alla Commissione "di proporre una tabella di marcia, anche per quanto riguarda il finanziamento", prima della prossima riunione di ottobre, un piano in grado di "fornire i mezzi per soddisfare le nostre ambizioni". Nelle conclusioni il debito comune non viene citato, ma Italia, Francia e Spagna hanno un interesse convergente e non hanno intenzione di lasciar passare in cavalleria una questione così centrale. Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha detto che "la sicurezza e la difesa sono beni pubblici europei, pertanto bisogna che siano finanziati in modo comunitario, con risorse europee". Le conclusioni adottate dal Consiglio non dicono nulla di conclusivo su questo punto cruciale, ma di sicuro il tema tornerà sul tavolo, dato che la difesa è destinata a diventare un punto fisso dei summit, come le migrazioni. Intanto Giorgia Meloni ha sollevato nel vertice il nodo delle regole sui bilanci, che penalizzano i Paesi che vogliono investire nella difesa ma sono sotto procedura per deficit, come l'Italia. I leader hanno parlato anche di commercio, e in particolare delle trattative con gli Usa volte ad evitare l'imposizione duratura di pesanti dazi sulle importazioni dall'Ue. Il termine fissato dagli Usa è il 9 luglio, anche se la scadenza potrebbe essere prorogata per dare più spazio alle trattative, che vengono condotte dal commissario al Commercio Maros Sefcovic. Entro il 9 luglio era considerato fattibile, al limite, un accordo di massima. Von der Leyen ha confermato che è arrivata una controproposta dagli Stati Uniti d'America e che l'Ue è "pronta" a fare un accordo con gli Usa. Sia il cancelliere Friedrich Merz che il presidente Emmanuel Macron hanno auspicato un'intesa "rapida" con Washington. Le trattative non possono durare "in eterno", ha sottolineato il presidente francese.  Merz ha anche riferito che l'Ue sta ragionando sulla possibilità di rimpiazzare la World Trade Organization, che "non funziona più", con un altro organismo che si occupi di risolvere le dispute commerciali. Von der Leyen ha spiegato che un organismo simile potrebbe partire da un accordo tra l'Ue e la Cptpp, accordo commerciale che riunisce Paesi dell'area del Pacifico come Australia, Nuova Zelanda, Cile, Messico, Perù, Giappone, ma anche il Regno Unito.  Per quanto riguarda l'Ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky si è collegato con i leader Ue in videoconferenza, poiché la situazione, con i bombardamenti russi, è tale per cui è dovuto rientrare in patria. Zelensky ha chiesto, in particolare, che venga aperto il cluster uno del negoziato sull'adesione, quello sui fondamentali, cosa alla quale l'Ungheria si oppone fermamente. Il 18esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia è in via di finalizzazione. E' sull'allargamento che ci sono i problemi più grossi: l'Ungheria continua ad opporsi all'apertura del primo cluster per Kiev, con una posizione ferma, tanto che le conclusioni sull'Ucraina sono state adottate a 26. E' quindi possibile, a quanto si apprende, che si finisca per disaccoppiare il processo di adesione dell'Ucraina da quello della Moldova, che finora sono andati avanti di conserva, anche per utilizzare Chisinau come 'leva' per vincere qualche resistenza su Kiev, la cui adesione porrebbe comunque delle questioni non piccole da risolvere, come l'impatto sulla politica agricola comune. I leader hanno parlato anche degli aiuti finanziari al Paese invaso dalla Russia: se la guerra continuerà, bisognerà ragionare su come continuare a sostenerlo. Sul Medio Oriente, gli Stati membri restano divisi sulla questione della possibile sospensione dell'accordo di associazione tra Ue e Israele, dato che la Commissione ha stabilito, dopo quasi due anni, che gli israeliani violano i diritti umani a Gaza. Ci sono Paesi, come la Spagna, che chiedono apertamente la sospensione dell'accordo, mentre altri, come l'Italia, ritengono che sarebbe controproducente, perché finirebbe per irrigidire ancora di più la posizione di Israele. Per quanto riguarda l'Iran, la posizione è quella esposta da Kaja Kallas: Teheran non deve avere l'arma nucleare, ma l'Ue preferisce la via della diplomazia. Le conclusioni parlano anche di Siria e di Libano. Si è parlato anche di Cina (ma senza conclusioni) e di competitività, con gli usuali richiami alla necessità di rimuovere le barriere che continuano ad ostacolare il funzionamento del mercato interno, inclusa l'Unione dei risparmi e degli investimenti, il rebranding dell'Unione bancaria, ferma da anni per le resistenze degli Stati membri. C'è un passaggio, nel capitolo sulla competitività, sulla necessità di ridurre le dipendenze energetiche da Paesi terzi (leggasi Russia), che crea problemi alla Slovacchia.  Bratislava si trova in una condizione molto particolare. Mentre prima incassava commissioni per il transito del gas che arrivava dalla Russia, ora, con la prospettata fine delle importazioni di metano russo, si trova davanti alla prospettiva di dover pagare di più per le fonti di energia. In primo luogo, per le commissioni di transito sul gas che le dovrebbe arrivare da altri Paesi. In secondo luogo, per il più che probabile aumento del prezzo del gas importato: un conto è importare gas via metanodotto dalla Russia, un altro importarlo da ovest. Per un Paese come la Slovacchia, che ha una importante industria dell'automotive, un aumento dei costi dell'energia è un grosso problema. Un passaggio nelle conclusioni dovrebbe quindi fare riferimento alla necessità di tenere conto delle "specificità dei Paesi senza sbocco al mare". Il premier Robert Fico ha incontrato von der Leyen per parlare del problema. Nelle conclusioni ci sono anche paragrafi sulla sicurezza interna, sulle minacce ibride, sulla strategia per il Mar Nero.  Su richiesta di Malta e Italia, anche della situazione in Libia, visto il rischio che la presenza russa si espanda nel Paese e il recente aumento dei flussi migratori provenienti dalle sue coste. Proprio sui migranti si è tenuto, prima del summit, un incontro tra alcuni Paesi, promosso dall'Italia, che ha visto anche la partecipazione del cancelliere tedesco Friedrich Merz, per il quale le migrazioni sono un tema politicamente molto sensibile, vista l'ascesa dell'estrema destra dell'AfD nei sondaggi. —internazionale/[email protected] (Web Info)

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