Il 21 novembre si celebra la giornata mondiale della televisione. Istituita dalle Nazioni Unite nel 1996 non tanto in onore del mezzo in sé quanto per l’idea che rappresenta – la globalizzazione, la comunicazione -, cade il 21 perché in quella data si tenne il primo World Television Forum.
In Italia la televisione arrivò nel 1954, ma soltanto negli anni settanta alcune sentenze della Corte Costituzionale permisero l’affermazione di televisioni locali private, facendo cessare il monopolio della Rai. Nel 1977 la Rai cominciò a trasmettere a colori.
Ormai la televisione come dispositivo tecnologico ha perso il monopolio sul piano fisico per l’ingresso nel mercato di telefoni, tablet, computer; e, come mezzo di comunicazione di massa, deve confrontarsi con internet e tutto ciò che gli è collegato.
Al di là delle specifiche forme di trasmissione – in diretta, quella tradizionale, e in streaming, più recente – è evidente che la televisione e i suoi molteplici derivati sono ancora al centro della nostra società.
Molti intellettuali del novecento hanno scritto di televisione. Umberto Eco, per esempio, ne trattò sotto svariate lenti d’indagine – dalla celeberrima “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, analisi critica dell’estetica e della filosofia del personaggio, alla semiotica. Pasolini negli anni settanta ne deplorò l’impatto sulla società italiana, ritenendo che fosse riuscita dove il fascismo aveva fallito – nel rimodellare lo spirito e la cultura di massa – con effetti devastanti. La televisione gli sembrava l’autoritaria, centralistica e omologatrice propaganda della civiltà dei consumi. Suggerì, come parziale bilanciamento, di utilizzare i mezzi spaventosamente efficaci della televisione e della pubblicità per propagandare la lettura: per favorire l’arricchimento culturale. Famose anche le riflessioni di Popper sul problema della violenza nei programmi televisivi – in una società che fa della tolleranza, l’esatto opposto della violenza, il suo valore fondante -, sul ruolo educativo della televisione, sulle difficoltà di una buona televisione.
Leandro Stroppa

