“La violenza contro le donne non si manifesta solo attraverso colpi, minacce o abusi fisici. Esiste una forma di violenza più silenziosa, ma altrettanto distruttiva: la violenza delle parole. Insulti, giudizi, dubbi insinuati e commenti colpevolizzanti diventano strumenti di una seconda aggressione, conosciuta come vittimizzazione secondaria. Quest’ultima si verifica quando una donna, dopo aver subito violenza, anziché essere accolta, ascoltata e protetta, viene messa in discussione da chi dovrebbe sostenerla. Frasi come: “Perché non te ne sei andata prima?”; “Sei sicura di non averlo provocato?”; Non sembrava un tipo violento…” non sono semplici domande, ma vere e proprie forme di giudizio che spostano la responsabilità dalla persona che ha commesso la violenza alla persona che l’ha subita. Dunque, quando il racconto di una donna viene minimizzato, dubitato o ridicolizzato, si rafforza una cultura che legittima la violenza e alimenta il silenzio. Molte donne, temendo di non essere credute, scelgono di non denunciare, rimanendo intrappolate in situazioni di pericolo. La violenza verbale è spesso sottovalutata perché non lascia segni visibili, ma produce cicatrici interiori: senso di colpa, vergogna, paura, perdita di fiducia in sé e negli altri. La vittimizzazione secondaria, infatti può essere devastante. Rivivere il trauma attraverso interrogatori invasivi o commenti colpevolizzanti può portare a: ansia e depressione, stress post-traumatico. isolamento sociale, sfiducia nelle istituzioni La donna non solo subisce la violenza, ma viene costretta a difendere la propria credibilità. Che fare? Bisogna cambiare il linguaggio per cambiare la cultura. Contrastare la violenza delle parole significa promuovere un linguaggio rispettoso, empatico e responsabile. È un cambio di prospettiva fondamentale per costruire una cultura della responsabilità e della tutela delle vittime. Le istituzioni, i giornalisti, gli operatori sanitari e ciascun cittadino hanno un ruolo attivo: credere alle donne, ascoltarle senza giudizio, restituire loro dignità. Perché la violenza non è solo un atto fisico. È anche fatta di sguardi che giudicano, domande che feriscono, parole che isolano. Combattere la vittimizzazione secondaria significa rompere questo ciclo, restituendo alle donne uno spazio sicuro di ascolto e rispetto. Perché nessuna donna dovrebbe sentirsi colpevole per la violenza subita”.
Così, in una nota stampa, Carmela Tiso, portavoce nazionale Accademia Iniziativa Comune e presidente della associazione Bandiera Bianca.

