In Bagheria, l’autrice racconta il passato che l’ha segnata, il ritorno all’isola materna, il recupero dell’infanzia rubata dalla prigionia Giapponese.
(MeridianaNotizie) Roma, 18 luglio 2014 – Appuntamento con la grande letteratura italiana al Maxxi. Il museo d’arte del 21esimo secolo ha infatti ospitato Dacia Maraini e il suo romanzo Bagheria, per il secondo incontro della rassegna Nel Baule, Ricordi e autobiografie che fino al 9 ottobre, nell’ambito del programma estivo del museo porterà i protagonisti della cultura a confidare cosa c’è “nel baule” dei ricordi personali, quegli stessi ricordi scritti nei libri pubblicati dai partecipanti alla rassegna
“Bagheria l’ho vista per la prima volta nel ’47”, racconta. Dacia Maraini era una bambina.. Cominciano da questo momento i ricordi che vengono presi “Nel baule”. “A Palermo ci aspettava la famiglia di mia madre. Un nonno morente, una nonna dai grandi occhi neri che viveva nel culto della sua bellezza passata, una villa del Settecento in rovina, dei parenti nobili, chiusi e sospettosi”. Tornare indietro con la memoria significa tornare a Bagheria e vedere, dice Dacia Maraini, “come hanno sfondato mezzo paese per fare entrare l’autostrada nuova fiammante fin sotto casa, buttando giù gli antichi giardini, abbattendo colonne, capitelli, alberi secolari”. Perciò, fa presente, “mi si chiude la gola”.
Nei racconti c’è il padre Fosco, amato “più di quanto sia lecito amare un padre”, ci sono tanti personaggi dell’infanzia, ci sono l’arroganza familiare e la sopraffazione maschile nella conversazione di Dacia Maraini con Ippolito e nelle pagine lette da Olga Pultrone. E c’è la mafia di cui “non si parlava mai, allora”: del resto “Bagheria è una città mafiosa, lo sanno tutti”, ma “non si deve dire”.
Servizio di Cristina Pantaleoni
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