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    Home » Disagio giovanile e società. La responsabilità dell’adulto nell’educazione dei giovani
    Scuola e Istruzione

    Disagio giovanile e società. La responsabilità dell’adulto nell’educazione dei giovani

    RedazioneBy Redazione9 Aprile 20211 commento47 Views
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    (Meridiananotizie) Roma, 9 aprile 2021 – In questo periodo di grande confusione sociale, spirituale, economica, politica, sembrano (forse lo sono) in aumento notizie preoccupanti riguardo quanto sta accadendo nella nostra stessa società. Il tutto amplificato, probabilmente, dalla diffusione (voluta, non voluta, reale o presunta…Ognuno si faccia la propria opinione) del Covid-19 e di cui ne danno notizia, giornalmente, quotidiani e radio-tv-giornali. Ne riporto di seguito alcune per poi riflettere insieme a Voi sulle responsabilità del disagio:

    • Aumentano i precari, diminuisce il lavoro a tempo indeterminato.
    • Le aziende falliscono.
    • Il disagio urbano aumenta: nelle persone, nei gruppi nelle comunità.
    • Le famiglie sono più povere.
    • Questa pandemia da Covid-19, durerà ancora per molto.
    • Stiamo toccando il fondo, siamo nel periodo peggiore della storia dell’umanità.
    • I giovani non hanno più valori e punti di riferimento sani.
    • La scuola è un disastro, la stanno distruggendo.
    • L’ambiente è contaminato dallo smog dei gas di scarico, dai campi elettromagnetici, dalle onde sonore, dallo smaltimento abusivo dei rifiuti tossici, ecc..
    • Più di un miliardo di persone è a rischio di morte per mancanza di cibo nel mondo.
    • L’obesità è in aumento. Negli ultimi trent’anni si è passati da circa il 3% a circa il 6% dell’intera popolazione, di malati di diabete, causa l’obesità.
    • Sono in aumento le tragedie familiari. Persone che uccidono i propri familiari sono quasi ogni giorno sui giornali e notiziari radio e tv.
    • Una grande percentuale di italiani soffre di malattie determinate dallo stress e che possono rivelarsi fatali, ne consegue un abuso di prodotti farmacologici.

    Guardando al mondo giovanile troviamo inoltre quanto segue:

    • Aumento della dipendenza da droghe.
    • Abbassamento dell’età media dell’inizio di abuso di alcoolici ed aumento della dipendenza da essi.
    • Inserimento in clan camorristici e spacciatori di droghe, mentre  si formano “baby gang”.
    • Aumento di delitti (molti in famiglia) per motivi spesso superficiali.
    • Aumento del fenomeno di bullismo in particolare nelle scuole e nelle strade.
    • Aumento della sfiducia nelle pubbliche istituzioni e nei loro rappresentanti.
    • Cinismo, individualismo, egoismo e materialismo sempre più diffusi.
    • Abbassamento del livello di istruzione.
    • Uso sfrenato dei social (Facebook, Instagram, ecc.) dove poter apparire ed ambire a diventare influencer.
    • Raggiungimento del successo personale e della notorietà, ad ogni costo e con ogni mezzo.

    A tutto quanto sopra occorre evidenziare l’allarmante quadro della nostra società che mette in risalto i comportamenti suicidari, generati da forti disturbi psichici e la grande tendenza ad accusare stati di: ansia, attacchi di panico, anoressia e bulimia e depressioni…che colpiscono anche molti giovani.

    Nel gruppo familiare, possiamo notare  “problemi” relativi a:

    1) cambiamenti profondi nel pensiero inconscio dell’individuo con manifestazioni negative sul comportamento;

    2) Abbassamento del rendimento scolastico da parte del giovane;

    3) Mancanza di interesse e/o capacità di comunicazione;

    4) Aumento di aggressività e ribellione, con tendenza dei giovani a squalificare “figure di riferimento” (p. es., insegnanti, genitori, preti, poliziotti, politici, etc.);

    5) Affiancamento di persone poco raccomandabili;

    6) Utilizzo, da parte dei giovani, di espressioni verbali scandalose in presenza di adulti.

    Credo di aver fatto un “bel” quadro e se non completo, quasi, di ciò che viene spesso messo in risalto dai mass media.

    Ora la mia domanda è:

    Chi è responsabile di tutto ciò?

    Ho riflettuto su questa domanda e mi sono dato la risposta che segue.

    Senza andare a fare una considerazione di ciò che accade in tutto il mondo, ma soffermandomi solo su quello che avviene nel mio piccolo mondo, quella realtà urbana in cui vivo, mi sono reso conto che i responsabili di ciò che accade siamo tutti noi.

    Mi spiego meglio.

    Tutti, o comunque la maggior parte di noi è, sicuramente, pronta a dire che questo non è vero e che i responsabili di quello che accade ai giovani é/sono “………………..” E qui ognuno conclude la frase con cosa o chi ritiene abbia, specificamente, la responsabilità di quello che accade e di cui ho riportato sopra un’ampia panoramica.

    E laddove in molti dovessimo trovare, soggettivamente, il referente specifico quale causa del problema/disagio, diverso da noi stessi, questo è solo per toglierci, in qualche modo dalle nostre  responsabilità. È come dire, io non c’entro e non posso fare nulla, quello che accade è perché la società è ormai questa e le responsabilità sono di “Tizio” o “Caio” e sono quest’ultimi che devono dare risposte e risolvere il problema/disagio che esiste nella nostra società/comunità.

    A questo punto è bene fare una considerazione, intanto che è normale che nella società siano le istituzioni a dare delle risposte in tal senso e che, le istituzioni stesse sono formate da persone. Pertanto, in merito ai termini società/comunità, occorre fare una precisazione. Per comunità intendiamo un insieme di individui legati tra loro da uno o più elementi di comunione e riconosciuti, singolarmente, da ogni persona. Possiamo altresì dire che, l’elemento condiviso dal gruppo, si trova nello stesso ambiente fisico nel quale sono presenti anche determinate dinamiche relazionali. E già questo aspetto, forse, ci indica che la responsabilità andrebbe suddivisa all’interno del gruppo (società/comunità), tra gli attori che ne fanno parte e che ne condividono uno spazio specifico oltre agli elementi in esso contenuti.

    Ma forse, un dato specifico che ci indica da dove partono gli esempi di responsabilità ce lo abbiamo e questo ci riconduce, inevitabilmente, alla figura umana di un adulto. Sappiamo che i giovani sono il futuro, le donne e gli uomini della società di domani. Ma allo stesso tempo vivono la società di oggi e, la società attuale, è governata dagli adulti e come tali credo che le responsabilità di quello che accade partano proprio da questi ultimi (io compreso).

    Sono del parere che non avremo mai una società rispettosa, antirazziale, produttiva, evoluta e economicamente agiata, fino a quando gli esempi (adulti) non saranno conformi alle aspettative dei giovani.

    Facciamo finta di ascoltarli, parliamo dall’alto dei nostri pulpiti, ma quando dobbiamo metterci in gioco, accettando le loro critiche, tiriamo fuori il nostro titolo, la nostra età, il ruolo che ricopriamo e sviamo in qualche modo la responsabilità di costruire il mondo che i giovani, veramente, desidererebbero vivere.

    Tempo fa partecipai ad un Convegno dal titolo: “Disagio Urbano: nelle persone, nei gruppi, nella comunità”; tenutosi presso la Sala Protomoteca del Campidoglio a Roma. A tale Convegno parteciparono al tavolo dei conferenzieri, personaggi qualificati che offrivano il loro contributo professionale su cosa fosse necessario fare per risolvere il disagio sociale in cui vertono molte persone e le comunità intere.

    È inutile sottolineare, quanto ben articolati sono stati gli interventi dei professionisti, ricchi di molti contenuti e sani principi.

    Purtroppo però, tutto quello che appariva sensato e di notevole attenzione verso il sano e coerente esempio socio educativo, risultò, come spesso accade, contestualmente, incoerente nella pratica.

    Mi spiego.

    Mentre gli adulti esprimevano l’importanza che si deve dare con il proprio esempio vivente ai giovani, dimostrando che attraverso la politica del “fare” oltre che del “dire”, si acquisiscono dettagli nella memoria che rimangono indelebili, gli stessi, assumevano atteggiamenti contrari a quelli verbalmente espressi.

    Porto solo un esempio. Uno dei relatori che si trovava al tavolo dei conferenzieri, utilizzò diverse volte il suo telefono cellulare nel corso della conferenza mentre qualche suo collega esponeva la sua relazione. Naturalmente, nessuno gli disse che tale comportamento era in antitesi con i principi di esempio che nella stessa riunione si intendeva far passare.

    Ora se questo atteggiamento, comportamento, lo avesse avuto un giovane della scolaresca seduta in platea (erano presenti al Convegno su indicato alcune classi di Istituti Socio-Psico-Pedagogici), quest’ultimo sarebbe stato, sicuramente, redarguito dalla sua insegnante (o altro adulto accompagnatore presente) per cui le sarebbero state mosse le seguenti osservazioni:

    • È maleducazione. Quando si è in riunione il telefono va spento;
    • Se rispondi sempre al telefono, probabilmente non trovi interessante quello che stanno dicendo i relatori;
    • A te piacerebbe se qualcuno, mentre stai parlando con lui,  facesse qualche altra cosa senza prestarti attenzione?
    • Spegni quel telefono altrimenti te lo ritiro e te lo consegno alla fine del Convegno.
    • Avete sempre questi telefonini accesi! Ma che avrete mai da dirvi!

    E questo, di solito, è quello che accade in altre situazioni simili. Nello stesso ambiente troviamo l’adulto ed il giovane che però hanno due ruoli diversi. Il fatto è che il ruolo pesa (o forse sarebbe il caso di dire, viene fatto pesare dall’adulto)… Infatti, laddove l’adulto può dire e fare quello che vuole, il ragazzo no.

    Sappiamo poi, che l’adulto è molto bravo a motivare, con molta attenzione e logica, il fatto che lui, se utilizza il telefono cellulare anche durante il Convegno, è solo perché ha molti impegni e responsabilità oltre l’evento a cui sta prendendo parte e quindi, il suo comportamento è razionalmente giustificato, perché deve rispondere ad altre persone che lo contattano per motivi molto importanti legati, appunto al suo ruolo.

    Questo esempio di risposta dell’adulto, anche se bene articolato, convincente, razionale, influisce però sul ragazzo, emotivamente, in modo negativo, perché lo stesso accusa comunque uno stato di disagio, che potremmo azzardare di tradurre in pensieri che lo stesso può generare e che possono essere di questo tenore:

    • Tu adulto puoi farlo ed io no;
    • Tu adulto dici quello che va fatto ma tu non lo fai;
    • Tu adulto eserciti il tuo potere del ruolo su di me ed io devo sottostare.
    • Tu adulto dici che vuoi ascoltarmi ma se ti faccio notare che oltre alle parole io osservo i fatti, continui ad essere sordo e ad avere i tuoi soliti atteggiamenti.
    • Se mi chiudo e non comunico, mi dici che sono un soggetto disagiato.
    • Se continui a “dire” e “non fare” quello che dici sia giusto “dire” e “fare”, farò in modo che tu possa notare ciò che io faccio e che è il contrario di quello che tu dici, verbalmente, di fare e di questo sei responsabile tu, adulto.
    • Il mio disagio sei tu, adulto.

    A tal proposito, mi viene in mente la scena di una ragazza che fu chiamata a commentare gli interventi dei relatori in quel convegno da me su menzionato in cui ero presente anch’io. La stessa, dopo diversi tentativi da parte dell’adulto di indurla a commentare, si ritrovò con un microfono in mano in piedi con gli occhi addosso e le orecchie pronte ad ascoltarla di circa 150/200 persone, in particolare, gli occhi e le orecchie delle sue compagne di scuola. L’adolescente iniziò subito dicendo:

    “vorrei manifestare il mio grande disagio nella situazione in cui mi trovo. Voi adulti, parlate di disagio e poi mette le persone nella condizione di trovarcisi in mezzo. Sono stata spinta dalla mia insegnante a fare ciò che non avrei voluto fare: parlare in pubblico. Quindi, denuncio il mio forte senso di disagio. Inoltre voi adulti dite sempre quello che bisogna fare ma poi, voi siete i primi a non fare quello che dite. Vorrei vedere i fatti oltre le parole, perché oramai di parole ne sentiamo troppe da molto tempo”.   

    Credo sia significativa la denuncia della giovane ragazza. Occorre quindi riflettere sulle responsabilità che all’interno di una società devono, sicuramente, partire dall’adulto e, successivamente, devono approdare nel giovane che, sappiamo, se messo nella condizione di capire (attraverso l’esempio coerente degli adulti) che le responsabilità di ciò che accade in una comunità sono di tutti, comprenderà più facilmente che anche lui, attore di un contesto sociale molto ampio, anche nel caso di un qualsiasi disagio giovanile, ha la sua responsabilità, seppur rapportata alla sua età. Se non altro, in un contesto congruo di esempi da parte degli adulti, avrà l’opportunità di domandarsi perché accade quello che sta vivendo e cosa e come poter fare, magari con l’ausilio di un adulto coerente, per far fronte allo specifico problema/disagio, tramutandolo in una sua opportunità di crescita personale e sociale.

    • articolo di Massimo Catalucci

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