(Meridiananotizie) Roma, 28 settembre 2012 – Si può morire nell’arco di sette giorni? Sembra impossibile, eppure la risposta è sì. È accaduto a Stefano Cucchi, morto a 31 anni il 22 ottobre del 2009 nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, mentre si trovava sotto la tutela dello Stato. Una pagina vergognosa della storia italiana su cui ancora non è stata fatta chiarezza. Con il supporto di testimonianze, documenti e interviste Luca Pietrafesa ripercorre il breve ma devastante calvario che ha portato Stefano dall’arresto per detenzione di 20 grammi di hashish, al carcere di Regina Coeli, alla tomba, nel libro “Chi ha ucciso Stefano Cucchi?” edito dalla Reality Book per la nuova collana Nessuno Tocchi Caino, curata in collaborazione con l’omonima associazione.
Una testimonianza che però non basta a far emergere una verità per cui la famiglia di Stefano, il padre Giovanni e la sorella Ilaria, lottano da anni. Una morte ingiusta che umilia lo Stato italiano e riaccende l’annoso dibattito sull’emergenza carceri. Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, associazione che da anni si batte contro la pena di morte. Condizioni di detenzione disumane che umiliano l’Italia in Europa, come afferma il presidente Napolitano. E contro cui urge mettere a punto, secondo D’Elia, una riforma struttale. Per consentire alle strutture carcerarie di svolgere il proprio ruolo. Che non è solo detentivo, ma anche riabilitativo. E soprattutto fare in modo che non si verifichino più altre anonime, disumane morti, come quella Stefano Cucchi.
Il servizio di Giuliana Gugliotti
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