(Meridiananotizie) Roma, 3 dicembre 2012 – Il 14 giugno 2011 il direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti, viene sospeso per due mesi dalla professione in seguito ad un’azione disciplinare avviata dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia, per avere consentito la collaborazione presso il quotidiano dall’ottobre del 2006 al luglio del 2008, dell’ex giornalista e deputato Renato Farina, anche se quest’ultimo era stato radiato dall’Ordine. Il 17 giugno 2011 è condannato dalla Corte d’appello di Milano a un anno e due mesi di carcere e a 5000 euro di pena pecuniaria, per diffamazione a mezzo stampa, in riferimento a un corsivo pubblicato sotto lo pseudonimo Dreyfus nel febbraio 2007 su Libero, giudicato lesivo nei confronti del giudice tutelare di Torino, Cocilovo, che ha sporto querela.
Il giorno 26 settembre 2012 la Corte suprema di Cassazione conferma in via definitiva la sentenza a un anno e due mesi di reclusione: Sallusti è condannato sia per omesso controllo in qualità di direttore responsabile sia per “la non identificabilità dello pseudonimo Dreyfus e quindi la diretta riferibilità del medesimo al direttore del quotidiano”; solo il giorno successivo alla sentenza, l’onorevole Renato Farina rivendica alla Camera la paternità dell’articolo. In ossequio al cosiddetto “decreto svuota-carceri” il procuratore generale inoltra quindi al giudice di sorveglianza una richiesta di esecuzione della pena presso il domicilio in cui il giornalista vive con la compagna Daniela Santanché. Arresti domiciliari dai quali il 30 novembre Sallusti evade, subito fermato dagli uomini della DIGOS.
Se privare qualcuno della libertà è una pena eccessiva per un reato a mezzo stampa, d’altronde proporre una legge ad personam è altrettanto sbagliato. Questo quanto emerso dal seminario “Prospettive di disciplina della diffamazione e tutela della personalità” svoltosi presso l’Aula Magna della Corte di Cassazione, durante il quale è stato affrontato il tema del discusso ddl 3491, detto anche decreto salva-Sallusti, in fase avanzata di deliberazione da parte degli organi legislativi. Il decreto infatti, se da un lato propone di cancellare il carcere per i giornalisti, dall’altro rischia di diventare una legge liberticida, come evidenziato dal procuratore generale aggiunto onorario della Corte di Cassazione, Vincenzo Marinelli: “L’art. 595 del Codice Penale, relativo alla diffamazione prevede come pena la reclusione in via alternativa rispetto alla pena pecuniaria. Si è andati così per molti anni, vi fu un caso famoso ’50, Giovannino Guareschi, il famoso scrittore che scontò 409 giorni di carcere con molta dignità per diffamazione: non aspettò nemmeno la sentenza definitiva e non impugnò la sentenza di primo grado resa dal tribunale di Milano. Naturalmente le cose si possono cambiare valorizzando le pene alternative. È stato comunque un cattivo inizio quello di voler cominciare con una legge ad personam. E in secondo luogo non si sono considerate le pene alternative ma soltanto la pena pecuniaria, che da un lato non è abbastanza dissuasiva, da un altro lato determina una sovraesposizione delle piccole testate e dei giornalisti precari, più in generale dei giornalisti sottopagati che non possono sostenere una pena pecuniaria sia pure lieve”.
Il servizio di Francesca Ferrajolo
Altre videonews di cronaca:
Cibo biologico artigianato ed eventi, riparte la Città dell’Altra Economia VIDEO
Buontempo punta il dito contro coop edilizie, migliaia di cittadini truffati VIDEO
“A me mi hanno imparato che mi serve anche l’autoblu”, Lanfranchi come Zingaretti? VIDEO