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Seguendo l’attuale tessitura dell’immaginario collettivo, il libro “Filosofia dell’osceno televisivo” di Castoro propone una rivalutazione dell’assoluto, non inteso come orizzonte metafisico, ma come “odio ecologico” verso tutto quanto ci inquina, ci degrada e ci induce a dimenticare la nostra libera tragicità di esseri umani.
(MeridianaNotizie) Roma, 24 settembre 2013 – Un’oscenità “fredda e comunicazionale”, come diceva Baudrillard, si è ormai inesorabilmente sostituita a quella classica dello scandalo sessuale, dell’impudicizia della carne, della “spiritualizzazione” delle anime e delle condotte. Eppure, anche nel reticolare e in perenne fibrillazione mondo degli iper-media, resta traccia di questo canone dell’oscenità fisica, solo apparentemente superato, poiché è proprio grazie ad un’imponente opera di oblìo della nostra cifra esistenziale più autentica, della nostra radice esperienziale e fenomenologica, che si è potuto innescare e ingigantire, negli ultimi decenni, quel regime dell’Indistinto, dell’Indifferenziato, dell’equidistanza fra realtà e simulazione, vero e falso, fatto vissuto e “macchina” dell’apparire che è oggi la natura più preoccupante e devastante del sistema dei media e dell’Osceno come categoria estetica che lo rappresenta.
Carmine Castoro, filosofo della comunicazione, giornalista professionista, autore televisivo (per RaiNotte e canali Sky) e apprezzato saggista già da molti anni, con una scrittura densa e uno studio approfondito, in questo suo Filosofia dell’Osceno televisivo – Pratiche dell’odio contro la tv del Nulla (Mimesis edizioni, in tutt’Italia dal 3 luglio) presentato a Roma nella Libreria Feltrinelli di Viale Libia, passa dal mito della caverna di Platone all’”orrore” dei reality show, da metafore cinematografiche ineludibili come Truman Show e Matrix a pezzi fondamentali della storia del pensiero occidentale, dalla pittura, alla letteratura, a testi di brani musicali, alle nuove guru televisive super adorate come Maria De Filippi, per scandagliare l’Osceno riconducibile a 4 etimologie. Quella che riporta il significato al riprovevole, al ripugnante, a qualcosa da esorcizzare e sottrarre allo sguardo; quella che parla di un’”assenza di scena” e quindi di un’ipervisibilità delle cose attraverso gli schermi televisivi; quella che allude a un “maleficio” interno delle cose stesse; quella che richiama il “veleno” e la “ruggine” legati al concetto di “Vuoto” che, guarda caso, riempie le nostre coscienze di simulacri insignificanti e di gossip senza contenuto.
Servizio di Domenico Lista
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