Un team di esperti, tra cui quelli dell’Università di Losanna, aveva ricevuto l’incarico di riesumare la salma di Arafat nel novembre 2012 per
trovare le prove di avvelenamento
(MeridianaNotizie) Roma, 7 novembre 2013 – Il leader palestinese Yasser Arafat, morto l’11 novembre 2004 a Parigi, sarebbe stato avvelenato con il Polonio 210. Lo rivela un documento esclusivo anticipato da Al Jazeera, che cita i risultati del Centro Universitario di Medicina Legale di Losanna incaricato, nell’agosto del 2012, dall’Autorità Nazionale Palestinese di svolgere le analisi sui resti dell’ex leader. «Stiamo rivelando un vero crimine, un assassinio politico», ha dichiarato la vedova di Arafat, Suha, dopo aver ricevuto i risultati delle analisi. «I nostri dubbi sono stati confermati e adesso abbiamo le prove scientifiche che mio marito non è morto per cause naturali, ma è stato assassinato», ha proseguito l’ex moglie.
Un team di esperti, tra cui quelli dell’Università di Losanna, aveva ricevuto l’incarico di riesumare la salma di Arafat nel novembre 2012 per trovare le prove di avvelenamento. All’ex leader palestinese non mancavano i nemici. Dopo il fallimento degli accordi di pace tra Palestina e Israele del 2000, in molti avevano puntato il dito contro lo stato ebraico, ritenuto responsabile di una serie di attentati volti a togliere la vita ad Arafat. «Il presidente è stato vittima di un assassinio terroristico, perpetrato da uno Stato, Israele», ha commentato Wasel Abu Yousef, membro del comitato esecutivo dell’OLP, l‘Organizzazione per la Liberazione della Palestina». Il governo israeliano però ha subito smentito ogni accusa. “Non ha niente a che vedere con Israele, né ha la minima credibilità. Questo è un’ altro episodio dell’interminabile telenovela tra Suha Arafat e l’Autorità nazionale palestinese”, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Igal Palmor. Secondo Palmor “la base scientifica dell’indagine è piena di falle” perché non ha tenuto conto dei luoghi in cui è stato Arafat prima di morire né si sono interrogati i medici che assisterono il leader palestinese all’ospedale di Parigi. Il portavoce ha inoltre notato che di recente il laboratorio russo che conduceva il terzo filone dell’indagine aveva annunciato l’assenza di tracce di sostanze radioattive, per poi cambiare idea. “La teoria dell’avvelenamento ha più lacune che sostanza”, ha concluso Palmor.
Il Polonio 210 è uno dei più potenti killer presenti in natura, in grado di uccidere anche in piccolissime quantità non rilevabili ad occhio nudo. E’ una sostanza particolarmente pericolosa «perché supera la barriera cellulare e quindi può entrare in qualunque tessuto, devastandolo con le emissioni di raggi alfa. E’ inoltre facile da nascondere tra le pietanze, un drink, oppure un innocuo spazzolino da denti. All’epoca della morte di Arafat non era considerato tra le armi impiegate per uccidere avversari politici. Fu solo nel 2006, in seguito alla morte dell’ex spia russa Alexander Litvinenko, che divenne famoso come arma invisibile. Per questo, in seguito alla morte di Arafat, nessuno avrebbe sospettato l’avvelenamento con il Polonio. I dubbi sull’omicidio – Se la notizia fosse confermata (Al Jazeera rimane cauta nel dare per certi i risultati delle analisi, anche se sono state riscontrate tracce di Polonio 18 volte più alte del normale sul corpo di Arafat), il prossimo passo sarà trovare il mandante dell’assassinio. Il Polonio 210 è stato probabilmente fabbricato all’interno di un reattore nucleare. I dubbi però rimangono ancora. La causa ufficiale della morte di Arafat è stata un infarto. Il leader si era ammalato nell’ottobre del 2004, accusando sintomi paragonabili a quelli influenzali: gastroenterite, vomito e diarrea. Inoltre non aveva perso i capelli, una conseguenza comune in seguito all’esposizione anomala alle radiazioni. Personaggio complesso e controverso, uomo d’azione ma anche prudente diplomatico, Yāsser ʿArafāt è stato negli ultimi anni della sua vita, spesso accusato (in special modo dopo il fallimento del Summit di Camp David del 2000 con l’allora Premier israeliano Ehud Barak, e soprattutto dopo lo scoppio della seconda intifada) di non volere la pace. E’ stato inoltre incolpato di aver sostenuto gli atti di terrorismo contro i civili israeliani e non aver fatto nulla per contrastarli, e di non essere dunque più in grado di porsi come interlocutore serio. Allo stesso tempo, da parte del mondo arabo, è stato sempre riconosciuto e considerato come figura unica e carismatica, personaggio indispensabile all’interno dell’intricato universo di movimenti politici palestinesi, al fine della conclusione del processo di pace e dell’annosa crisi mediorientale.
di Luisa Deiola
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