Chi era Fabrizio Piscitelli, l’uomo chiamato Diabolik ucciso al parco degli Acquedotti in un omicidio a chiare tinte mafiose? Difficile etichettare una figura del genere che, per qualcuno, è iconica, quasi immortale. Per la sua morte, al momento, c’è una sola persona imputata, Raul Esteban Calderon, un sicario. Avrebbe preso almeno 100 mila euro per ammazzarlo. Chi ha voluto quel delitto, tuttavia, al momento ancora non si sa, almeno dal punto di vista della giustizia italiana. Perché di Diablo tutti parlano, tutti sanno.
D’altronde, citando i muri di Roma, Diablo vive. In curva Nord lo stendardo con la scritta rosso sangue di Diablo e la maschera che raffigura lo sguardo del personaggio dei fumetti è sempre in prima fila. Occhi fissi dietro uno sfondo nero. Forse è proprio quella pezza da stadio a raccontarlo meglio di chiunque altro: nella sua casa, la curva Nord, lo sguardo fiero, fisso, dietro quell’alone nero, quello dell’oscurità e del richiamo al fascismo che riempie la stoffa, e la scritta rosso fuoco, di chi vuole sempre di più, e infine la firma: Irriducibili.
Fabrizio Piscitelli non è stato solamente il padrone della curva della Lazio. Fabrizio Piscitelli non è solamente un attore principale tra i narcotrafficanti di Roma e non solo. Fabrizio Piscitelli non è stato solamente un padre delle sue figlie e del suo popolo.
Diablo, l’Irriducibile
Il primo spartiacque della vita di Piscitelli è il 18 ottobre 1987, si gioca Lazio-Padova. Allo stadio compare lo striscione. È il battesimo degli Irriducibili, in curva Nord, il gruppo ultras nato da una costola degli storici supporter biancocelesti, gli Eagles. Sono violenti, aggressivi e politicizzati, chiaramente a destra, quella estrema. Nella nuova compagine scalpita un giovanissimo Fabrizio Piscitelli, poco più che ventenne. Non è ancora il capo carismatico del tifo estremo laziale ma ben presto si farà strada.
A suon di botte gli Irriducibili si presero la Nord e Piscitelli, negli anni ne divenne il Re. Un ruolo che gli piace e che declinerà anche nella malavita trent’anni dopo. Il primo precedente risale al 1998, ed è una condanna per danneggiamento. Seguono disordini allo stadio, resistenze a pubblico ufficiale, giri di scommesse clandestine, ingiurie, lesioni. Ma è nella Nord, la sua casa, che Piscitelli inizia a scalare posizioni, a crearsi un esercito che lo accompagnerà sempre e in tanti dei suoi affari.
Il legame con i Senese
La droga e la Lazio sono le costanti della sua vita. Lì, in curva, gravitano fascisti e albanesi. Figure vicino alla destra romana e spacciatori come Arben Zogu, detto Riccardino o il Nano, e Elvis Demce. Due che negli anni sono diventati tra i narcos più pericolosi e temuti di Roma. È lì, tra la curva e Roma nord, che nasce la batteria di Ponte Milvio che poi ha avuto rapporti con Michele Senese e Massimo Carminati.
Ed è proprio con la famiglia di Senese che Piscitelli ha un canale preferenziale. Diabolik cresce spalla a spalla con Gennaro Senese, fratello del boss Michele O Pazz’, fin dai primi anni 90. Quando il 16 settembre 1997 Francesco Carlino uccise a pugnalate Gennaro Senese, la sua catenina d’oro la prende proprio Piscitelli. La porterà sempre con lui.
I primi guai
Un chiaro segnale in ambito criminale, Piscitelli era dei Senese. La sua casa, la curva Nord, ormai era stretta. Il Re voleva di più. Nel 2013 venne arrestato dopo un mese di ricerche in un appartamento alla periferia di Roma, dove si nascondeva dai carabinieri di Castel Gandolfo. Nelle carte dell’inchiesta firmate da Alessandro Iacovelli, si legge che fu tradito dall’ordinazione di una pizza fatta per assistere al match di Europa League della sua Lazio. L’accusa nei suoi confronti era quella di essere a capo di un gruppo criminale che gestiva un traffico di droga internazionale tra l’Italia e la Spagna, ricostruito in mesi di intercettazioni e pedinamenti. Nel covo venne trovato anche un arsenale che avrebbe potuto essere utilizzato per gli scontri allo stadio.
Due anni dopo, nel 2015, fu condannato in primo grado per il tentativo di scalata alla Lazio. Sono anni di fermento. Gli affari, nonostante qualche guaio con la legge, vanno alla grande. Il carisma di Diabolik cresce, sempre con una serie di amici e luogotenenti fidati vicino. Il gruppo degli albanesi e Fabrizio Fabietti nel traffico di sostanze stupefacenti, i camerati allo stadio.
Nel 2017 gli Irriducibili finirono nella cronaca per l’adesivo di Anna Frank con la maglia della Roma. Poi per il manifesto a firma del sedicente “direttivo Diabolik Pluto” (Fabrizio Piscitelli e Ettore Abramo), che vietava alle donne di stare nelle prime dieci file della Curva Nord, considerato un luogo sacro. Ancora, per la passeggiata fascista a Milano nell’anno della morte del loro capo. Pochi giorni dopo, un ordigno fu fatto esplodere davanti alla sede degli Irriducibili. D’altronde, nell’agenda di Diabolik, non mancavano mai gli appuntamenti per organizzare il tifo per la Lazio.
Il grande raccordo dello spaccio
Come a dire, gli affari del narcotraffico non metteranno mai in panchina il primo amore, il suo popolo biancoceleste. Oppure le sue figlie. Dio (denaro), patria, famiglia. Già, perché proprio dal traffico di droga di soldi ne giravano tanti.
Con Michele Senese arrestato nel 2013, Diablo prese sempre più potere. Voleva di più. Lo testimonia l’indagine Grande Raccordo Criminale che raccontò gli affari della banda di spacciatori che riforniva droga a Tor Bella Monaca, San Basilio, Tufello, Bufalotta, Colli Aniene, Borghesiana, il Tuscolano, la Romanina, Ostia e Primavalle sino ad arrivare a Frascati, Ardea ed Artena.
In quell’inchiesta finirono in manette anche Ettore Abramo, Pluto appunto, Aniello Marotta, Alessandro Telich detto Tavoletta, mago della tecnologia. Tutti parte degli Irriducibili. Per quell’indagine il braccio destro di Diabolik è stato condannato in Appello a 30 anni di carcere. Una sorte che sarebbe potuta toccare anche a Piscitelli, se non fosse stato ucciso, come spiega chi ha indagato, anche se la famiglia sottolinea che il proprio caro è morto da uomo libero. Non era un boss.
Troppa ambizione
Ma perché un uomo così ben voluto, circondato da alleati, che muoveva così tanti soldi allora è stato ucciso? Perché nonostante la famiglia più volte ha sottolineato come lui non fosse un boss, anzi che fosse pronto a fare un passo indietro, aveva questo peso specifico?
Investigatori e inquirenti sono convinti che l’omicidio di Fabrizio Piscitelli sia maturato in un contesto di criminalità organizzata. Sicurezze che hanno anche gli esponenti di spicco della mala romana. A dare luce verde per quell’efferato crimine consumato nel parco degli Acquedotti sarebbe stato proprio Michele Senese, detto ‘Michele O Pazz’.
Possibile che il vecchio padrino abbia voluto la morte del suo figlioccio? Di quello che era l’amico del fratello ucciso da un rivale, la cui morte vendicata è costata proprio a Michele Senese il carcere?
Per chi frequenta quel giro, sì. Una questione di soldi e di rispetto. Piscitelli, non avrebbe rispettato i patti sulla percentuale degli incassi stratosferici del narcotraffico. A dirlo è, tra gli altri, anche Alessandro Corvesi, ex calciatore delle giovanili della Lazio in affari con Elvis Demce. Secondo lui, Diabolik avrebbe versato a Senese troppi pochi soldi facendogli mancare il sostentamento economico.
Non solo. Nel 2017, due anni prima del suo omicidio, Diabolik avrebbe inoltre contribuito a siglare una pax mafiosa per Ostia tra i clan Spada ed Esposito, finita al centro di un’inchiesta che ha portato alla condanna per associazione mafiosa del boss Salvatore Casamonica e dell’avvocatessa Lucia Gargano, come emerso nell’indagine Tom Hagen. Il cosiddetto patto di Grottaferrata.
Chi ha dato luce verde
Piscitelli a che titolo era lì? Possibile che abbia agito da solo scavalcando tutti? Sì, è una possibilità più che concreta. Una lettura che lo stesso Corvesi, intercettato, conferma: “Strega (altro soprannome di Piscitelli, ndr) si salvava perché avevano paura del nano”, e il nano è Arben Zoku, super boss albanese e stretto amico di Diabolik, come detto, che come sottolineava ancora Corvesi “riesce a schierare 100 kamikaze”. Solo chi conosce bene lui sa a cosa può arrivare”. Insomma, Fabrizio Piscitelli era diventato troppo ingombrante, troppo prima donna. Voleva essere Re, ma nello scacchiere chi porta la corona già c’è. Qualcuno, dopo il delitto, provò a farsi giustizia da sé e Roma fu bagnata da una scia di sangue.
Secondo una chiave di lettura, quella della mala romana, chi ha ordinato di uccidere Diablo sarebbero stati Giuseppe Molisso (boss di Tor Bella Monaca) e Leandro Bennato (boss di Casalotti), con l’ok di Michele Senese e l’aiuto di Alessandro Capriotti, detto anche ‘er Fornaro’ o ‘er Miliardero’.
Molisso, secondo le ricostruzioni fatte da alcune indagini, sarebbe l’alfiere di Senese, il “nuovo” Diabolik. Per ora, questa, è una ricostruzione che dovrà essere provate (o smontata) in sede processuale. Stando ai fatti, a premere il grilletto intorno alle 19 del 7 agosto 2019, sparando un colpo di pistola alla testa dell’autoproclamato Re mentre era seduto su una panchina nel Parco degli Acquedotti a Roma, sarebbe stato Raul Esteban Calderon.
L’argentino accusato anche dell’omicidio di Shehaj Selavdi a Torvaianica, oltre che di un tentato duplice omicidio ai danni di Emanuele e Alessio Costantino all’Alessandrino. Dopo quasi cinque anni chi ha pagato quel sicario, organizzato e voluto quel delitto ancora non si sa. Ancora se ne parla, perché come recitano i muri di Roma, “Diablo vive”.

