Il percorso della mostra si avvia negli anni Cinquanta, quando Warhol debutta nella Commercial art e presto lavora come illustratore per riviste prestigiose da Harper’s Bazar e il New Yorker e come disegnatore pubblicitario.
(MeridianaNotizie) Roma, 17 aprile 2014 – È arrivata ieri a Roma ed è stata posizionata li al centro degli spazi museali della Fondazione Roma Museo a palazzo Cipolla, la grande Liz Taylor multicolore firmata Andy Warhol. E’ il ritratto della grande diva statunitense che ha aperto la prima grande mostra monografica dedicata al padre incontrastato della pop art in programma dal 18 aprile al 28 settembre.
Le 150 opere dell’artista arrivate a Roma appartengono ad una delle collezioni più esclusive e intime dell’artista, slovacco di origini ma americano di nascita. Le tele provengono infatti esclusivamente dalla The Brant Foundation, il cui curatore e fondatore Peter Brant, noto collezionista d’arte, era uno dei più intimi amici di Warhol. Il percorso della mostra si avvia negli anni Cinquanta, quando Warhol debutta nella Commercial art e presto lavora come illustratore per riviste prestigiose da Harper’s Bazar e il New Yorker e come disegnatore pubblicitario.
E proprio dal lavoro per un famoso negozio di scarpe trarrà l’idea delle incantevoli scarpette a foglia d’oro che aprono la mostra. È però la Liz del ’63 ad introdurci nella sala successiva dove si annunciano le prima Campebell’s Sup e Coke, insieme a Disaster. Ci sono anche i dipinti di francobolli fatti con stampini ripetuti più volte sulla carta, i Red Elvis e il grandioso One Dollars Bill. Ci sono poi due Marilyn, una del 1962 e una delle 4 Shot Marilyn del 1964, i dipinti trapassati in fronte, citazione alla sparatoria subita da Warhol nel suo studio fotografico.
Non mancano neanche le grandi icone , le Brillo Box, i primi flowers, i Mao e i teschi. A chiudere l’esposizione “L’ultima cena” targata pop art, in cui Warhol rese omaggio a Da Vinci. Artista dall’acume indiscusso, si fece interprete della società di massa e del consumismo, studiò la sociologia degli anni ’60 trasformando l’arte in feticci dell’immaginario collettivo americano, anticipando l’egemonia dei mass media.
Servizio di Cristina Pantaleoni
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