“Dal saper parlare al saper comunicare emotivamente: Public Speaking – l’Arte Oratoria”
(MeridianaNotizie) Ardea, 24 aprile 2019 – Una locuzione latina recita così: “Verba volant, scripta manent”, che tradotto in italiano significa, “le parole volano, gli scritti rimangono”, stando ad indicare che le parole dette, non hanno valore. Forse, da un punto di vista legale e in termini contrattuali, ciò che è detto verbalmente, non ha valore ma, sappiamo anche, che in circostanze giuridiche la frase di rito che viene pronunciata nei confronti di un accusato esprime, al contrario, il valore che hanno le parole da lui dette, ed in fatti lo si avverte così: “Ha il diritto di rimanere in silenzio. Tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei in tribunale”.
Quindi, le parole dette hanno un loro “peso specifico”? Evidentemente, si!!! E lo hanno in ogni contesto, soprattutto nella vita che conduciamo, nelle nostre interazioni, siano esse legate al dialogo interiore che sviluppiamo, siano esse nel dialogo esteriore che produciamo quando comunichiamo con i nostri simili.
A questo, possiamo aggiungere anche, che le parole vengono definite come dei ponti di collegamento tra la nostra realtà interiore e ciò che è al di fuori di noi. Esse esprimono, sia da un punto di vista verbale che grafico, non solo il “contenuto letterale” di un messaggio (ovvero spiegano l’oggetto della verbalizzazione: “cosa”), contestualmente, anche il nostro stato d’animo, le nostre emozioni (come ci sentiamo quando noi le utilizziamo o quando le utilizzano altri verso di noi).
A tal proposito, intendo porre l’accento sul potere che le parole hanno, quale valore positivo o negativo, nel momento in cui vengono pronunciate.
Sono dinamiche comunicative che entrano in gioco nelle nostre interazioni, consciamente e inconsciamente e che aggiungono o tolgono valore (positivo o negativo) ad una “comunicazione persuasiva o dissuasiva“.
Quante volte sarà capitato ad ognuno di noi ascoltare persone che incantano con le loro parole per cui potremmo stare lì a prestarle attenzione per molto tempo? Come fanno alcune persone ad utilizzare parole che coinvolgono e ci motivano a fare qualcosa di speciale, oppure che ci demotivano a fare? Come fanno le parole a trasformare uno stato d’animo positivo in negativo e viceversa?
Queste sono alcune della domande che trovano riscontro e risposta nei corsi di “comunicazione e public speaking“.
Quello che viene subito evidenziato, nelle attività formative che riguardano la comunicazione e il saper comunicare emotivamente, è che le parole sono delle “etichette” indispensabili per gli esseri umani per comunicare tra loro.
Facciamo degli esempi elementari per spiegare passo passo il concetto.
Se ad esempio usiamo la parola “bicchiere”, in qualsiasi lingua la traduciamo, di fatto il riferimento interno che avremo è la proiezione di uno stesso oggetto “equivalente” per tutti noi che convenzionalmente, etichettiamo con la parola “bicchiere”.
Questo per dire che le parole possono essere considerate di base, “etichette” che ci facilitano la comunicazione e apparentemente, come nell’esempio del “bicchiere”, dove il riferimento dell’etichetta (parola) è ad un semplice oggetto di cui facciamo uso tutti i giorni, non dovrebbero provocare nessuna reazione degna di nota quando le pronunciamo o quando sentiamo che qualcun altro le pronuncia, se non quella di farci comprendere l’oggetto della conversazione.
Ma è sempre così?
Facciamo quest’altro esempio. Immaginiamo che alla pronuncia della parola “bicchiere”, proviamo un senso di fastidio fisico, perché in passato, anche senza ricordarlo nel presente consciamente (qualcosa che consciamente abbiamo rimosso) ci è accaduto di ferirci con un “bicchiere”. Ecco che quella parola, assume un significato emotivo ben preciso per noi, perché riaccende, in modo evocativo dei contesti di vita vissuta (esperienza personale).
Questo vuole essere solo un semplice esempio che, però, ci permette di riflettere ulteriormente, su come dovremmo non solo fare attenzione a ciò che diciamo e come lo diciamo quando comunichiamo, bensì, dovremmo fare attenzione anche a cosa accade in noi e quando in particolare parliamo in pubblico, a cosa accade dalla parte del nostro interlocutore, emotivamente parlando, quando pronunciamo delle frasi o apparentemente, delle semplici parole. Quale reazione emotiva scateniamo in noi e/o negli altri? Ecco che, oltre alle parole dette, dovremmo prestare molto ascolto, inteso come attenzione non solo uditiva e a come risponde verbalmente il nostro interlocutore nel corso della conversazione che abbiamo intrapreso, bensì, anche al suo comportamento, atteggiamento, alla sua prossemica, per capire come lo stesso risponde alle parole da noi pronunciate e modificare, laddove ce ne fosse bisogno, oppure rafforzare, la nostra conversazione, nel primo caso con parole diverse e nell’altro con parole simili a quelle utilizzate.
Il potere delle parole è immenso e può determinare successi ed insuccessi, dipende da come viene da noi utilizzato nel “dire” e nel “fare” mentre le pronunciamo.
Ci sono persone che sanno utilizzare magistralmente le parole per evocare, attraverso l’espressione verbale, stati emotivi di ogni genere. Si pensi ad esempio alle sinestesie poetiche: “Dai calici aperti si esala l’odore di fragole rosse”. In questa frase della nota poesia di Pascoli, “Il Gelsomino Notturno”, si può notare come la “sinestesia” (termine che prevede l’accostamento di due parole appartenenti a piani sensoriali diversi) trasferisce la sensazione olfattiva del colore rosso alle fragole, in un’associazione del sistema sensoriale visivo con quello olfattivo.
Quindi, partendo dall’assunto che le parole possono “trafiggere” come la lama fredda di un coltello e possono anche “accarezzare” come la mano più morbida e calda che conosciamo, va anche detto che ci sono parole che per la loro fonetica, da un punto di vista auditivo, rappresentano esattamente quello che descrivono letteralmente.
Prendiamo ad esempio le parole “Brutto” e “Bello”. La prima parola racchiude la lettera “T” che afferma durezza al vocabolo e quindi rappresenta esattamente quello che esprime; così come la seconda parola, dove la lettera “L”, conferma, esattamente, la dolcezza di ciò che anch’essa esprime.
Potremmo dilungarci molto sul potere delle parole e su come siamo troppo disattenti a prenderne consapevolezza e ad imparare a ben utilizzarle, sia che facciano parte di un nostro dialogo interiore, sia che vengano da noi utilizzate per dialogare con gli altri nei diversi ambiti in cui viviamo la nostra quotidianità.
Proviamo a fare questo esperimento e da oggi in poi, prestiamo attenzione a quello che ci viene detto, in particolare, quando sentiamo che quelle parole hanno su di noi un significato emotivo particolare, sia piacevole che spiacevole e moduliamo la nostra conversazione su un piano più comunicativo e persuasivo; ascoltiamoci ed ascoltiamo gli altri.
Diventiamo consapevoli del potere che abbiamo di poter far star bene o male, in primis noi stessi e subito dopo, i nostri interlocutori, sia esso un figlio, il partner, un genitore, il collega di lavoro, una platea di persone, il compagno di scuola, un amico, ecc…