(MeridianaNotizie) Roma, 21 gennaio 2015 – Tornano al patrimonio culturale italiano 5.361 reperti archeologici provenienti da scavi clandestini in Puglia, Sicilia, Sardegna e Calabria, di epoca compresa tra il VIII secolo a.C. e il III secolo d.C. rimpatriati da Basilea (Svizzera). Un patrimonio del valore complessivo che supera i 50 milioni di euro. “E’ il recupero più grande della storia per quantita’ e qualita’”, ha commentato il generale Mariano Mossa, Comandante Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (Tpc) nel corso della conferenza stampa indetta presso il Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano, di presentazione dei reperti. Alla conferenza hanno preso parte il ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, l’ambasciatore della Confederazione Svizzera in Italia Giancarlo Kessler, Mariarosaria Barbera soprintendente per i beni archeologici di Roma. “Si tratta di un tesoro archeologico rubato nel tempo da spregiudicati trafficanti”, ha aggiunto Mossa. La restituzione e’ avvenuta al termine di una complessa indagine e vicenda giudiziaria internazionale, recentemente conclusesi nel territorio elvetico. “L’unica soluzione per deballare e contenere il fenomeno – ha detto Capaldo – e’ la collaborazione tra soggetti che si dedicano alla tutela del patrimonio culturale. Sono beni di inestimabile valore sia artistico e che storico che ora sono tornati a casa”. “Millecequecento anni di storia sono tornati – ha aggiunto Barbera – C’e’ grande gioia per il recupero ma consapevolezza della grande depredazione fatta anche ai danni di intere metropoli”.
“La giornata di oggi e’ stata possibile grazie al lavoro di molte istituzioni che voglio ringraziare – ha detto Franceschini – Siamo di fronte ad una grande prova di efficienza ed eccellenza. Nel nostro Paese siamo abituati molti a parlare di quello che non va ma quando ci sono eccellenze eccezionali bisogna darvi risalto. Ci sono persone che vengono qui a formarsi. Il ritrovamento di oggi e’ il più grande ritrovamento di sempre, frutto di un’operazione lunga che ha portato ha risultato straordinario. Credo che questi pezzi debbano tornare nei luoghi di provenienza perche’ penso che dobbiamo valorizzare tutto il nostro Paese non solo alcuni luoghi. Il nostro e’ Paese che e’ un museo diffuso per lo straordinario patrimonio che abbiamo. Il lavoro del comando patrimonio culturale dei carabinieri e’ un’eccellenza italiana. Stiamo immaginando che tutto il lavoro del Tpc transiti in un luogo di esposizione per far vedere alla collettivita’ e alle scuolequanto e’ grave un furto simile e far vedere le opere prima di riportare nel posto di provenienza che spesso sono anche privati”.
Tra i reperti spiccano anfore, crateri, loutrophoros, oiochoe, kantharos, trozzelle, vasi, statue votive, affreschi, corazze in bronzo. L’operazione, denominata “Teseo”, prende il via da una rogatoria internazionale promossa dalla procura capitolina all’autorità giudiziaria di Basilea, dopo l’inchiesta che portò al recupero del famoso vaso di Assteas dal Getty Museum di Malibù. I carabinieri evidenziarono la figura di un intermediario, Gianfranco Becchina, il quale aveva curato la vendita del vaso al museo californiano. L’uomo, partito da facchino d’albergo, era diventato titolare di una galleria d’arte in Svizzera con volumi d’affari miliardari. Il suo nome fu trovato dai militari in una lista sequestrata a Pasquale Camera, già noto per traffici illeciti di reperti scavati clandestinamente nel sud Italia. Le successive indagini su Becchina fecero emergere l’esistenza di società, in Italia e all’estero, a lui ricollegabili e create allo scopo di eludere i controlli doganali e degli uffici di esportazione. Quindi la prima richiesta di rogatoria e la individuazione a Basilea di cinque magazzini riconducibili a Becchina e a sua moglie che furono trovati pieni di reperti sprovvisti di documentazione giustificativa e di provenienza da aree archeologiche italiane, oltre a decine di faldoni contenenti carte, appunti e fotografie. Quindi il sequestro e l’arresto della moglie dell’intermediario. Successivamente i carabinieri arrestarono lo stesso Becchina all’aeroporto di Milano Linate mentre cercava di lasciare l’Italia.
Le successive indagini dei militari hanno fatto emergere una vasta opera di ricettazione, soprattutto attraverso la Svizzera, di reperti che in precedenza venivano restaurati e dei quali veniva creata una falsa attestazione di provenienza. I reperti venivano venduti in Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Giappone, Australia. Era stato creato un sistema collaudato in grado di ingannare anche i principali responsabili degli enti museali internazionali.
Il Kouros, per esempio, fu acquistato nel 1985 per nove milioni di dollari dal Getty Museum, poi sospettato di essere un clamoroso falso, scoperto per un banale errore nel creare la documentazione falsa. Il 10 febbraio 2011 il gip emise provvedimento di confisca dei beni sequestrati e nel febbraio 2012 la Cassazione rigettò il ricorso di Becchina, confermando la restituzione dei beni allo Stato italiano. Provvedimento poi confermato dall’autorità Svizzera. Il procedimento nei confronti di Becchina si è concluso davanti al gup con una dichiarazione di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione in cui comunque il giudice evidenzia come i beni “sequestrati a suo tempo a Basilea provengono da scavi clandestini compiuti in Italia e sono stati illecitamente esportati in Svizzera dal Becchina”. Continua l’azione di recupero dei carabinieri del Tpc. Di recente sono state individuate una pelike e uno stamnos finiti in vendita presso una nota casa d’aste newyorkese di cui è stato ottenuto il sequestro e la confisca in favore dello Stato italiano.
Servizio di Cristina Pantaleoni